Nella giornata contro la violenza sulle donne, non più sottomissione, ma parità di genere. Amare vuol dire accettarsi con pregi e difetti senza violenza. Niente più amori malati!
Si, ora basta! Lo vogliamo gridare, imprimerlo come vessillo mondiale. In procinto del 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, il rispetto sulla donna è uno degli argomenti più scottanti dal Nord Italia, al Sud Italia fino in Sicilia. È bene partire da quelle “regole” esistenti prima del nuovo diritto di famiglia del 1975. Dal Codice Civile del 1865 si può addurre la loro totale sottomissione all’uomo. Regole esibite con il titolo “Doveri delle spose”. La donna veniva isolata in uno stato subalterno e completamente sottomessa al fidanzato/marito. Ciò esiste ancora in alcuni paesi del nostro territorio, soprattutto dell’entroterra siciliana. La donna, rea del tradimento veniva punita, a norma di legge, con un anno di reclusione. Le antinomie nascevano con il tradimento dell’uomo, che per essere giudicato dalla legge, doveva convivere con “l’amante”. Non si può certo dire che esistesse la parità di genere. In alcuni paesi del Sud-Italia, quando la famiglia della futura sposa donava la “dote” al promesso sposo, immobili, corredi pregiati o gioielli, l’uomo poteva utilizzarli come voleva e senza il consenso della consorte. Il rapporto con la suocera era assolutamente di sottomissione e rispetto totale. Certo è che il tempo ha cambiato queste regole, se non del tutto almeno in parte. Purtroppo in alcuni contesti e strati sociali, anche oggi, guai alla donna che si ribella al marito. Quell’individuo che crede di avere sempre ragione, è il frutto di talune mentalità retrograde e conservatrici. Sono “viri” che non credono nella parità dei sessi. Definire uomo con la lettera maiuscola colui che è violento è un’ignominia. Il Covid e la quarantena hanno ulteriormente aggravato ciò. L’isolamento forzato non ha permesso alle donne di evitare tragedie, violenze psicologiche, minacce verbali ed economiche. Anzi, le ha raddoppiate. Se il marito o l’ex fidanzato sono denunciati per stalking o minacce, perché non ne consegue una dura condanna? In tanti riterrebbero che la violenza sulle donne sarebbe una circostanza tollerata da sempre dalla società, ritenuta quasi normale. Perché tutto ciò, ci si chiede, se le donne oggi studiano e sono nei più alti gradini della scala sociale, politica ed economica? È lo “ius” che forse potrebbe far cambiare. La libertà deve avere un duro prezzo: il rispetto. Rispetto nelle scelte della donna, nel modo di pensare, di decidere, insomma vivere bene o male con la propria consapevolezza. I media confermano che aumentano sempre più i femminicidi, tanto che le statistiche sono terrificanti. Ci vuole attenzione all’educazione, quella femminile, introducendola come materia come tutte le altre nelle scuole. Sarebbe necessaria sia per allievi e allieve, che non devono più subire. In una prima fase le donne giustificano la violenza, scambiandola per gelosia, amore o protezione. Come avviene e perché, ci si chiede. Bisogna ribellarsi al primo schiaffo, fisico o verbale. Occorre denunciare e chiudere quel cerchio di omertà e vergogna. La vergogna è di chi vuole sopraffare con la forza. Occorre il rispetto per la propria dignità di donna, non “femmina” di proprietà del maschio. Chi ricopre un ruolo istituzionale deve avere il coraggio di assumersi le proprie responsabilità, per non arrivare alle conseguenze che tutti conosciamo. Quante volte le azioni legali per stupro si trasformano in processi alla donna, denigrata e considerata provocante. È in quei processi che viene delineato un fallace giudizio dei suoi comportamenti o espressione del volto, movenze o degli abiti indossati. È la cultura retrograda che deve tramutarsi! In primis è fondamentale potenziare e finanziare i consultori, i centri antiviolenza, con la presenza assidua di competenti assistenti sociali e psicologi. E come dalle ultime vicende non possono non essere citati il femminicidio di Giulia Cecchettin, innocente figlia del nostro tempo, delitto di inaudita ferocia di un fidanzato possessivo, dalla mente dominatrice. Un’altra vittima Giulia Tramontano, incinta di 7 mesi, morta con 37 coltellate dal compagno che continuava ad avvelenarla con un topicida. Amori malati o supremazia di genere? Di qualche giorno fà anche l’omicidio della dottoressa Francesca Romeo, in Calabria, a colpi di lupara dal suo aguzzino, che probabilmente avrebbe teso una trappola. Delitti che aumentano giorno per giorno, dove le misure non bastano a frenare la violenza sulle donne. Bisognerebbe cambiare le leggi: braccialetto elettronico e alla prima regola trasgredita in galera. Inoltre sarebbe giusto il giudizio definitivo del giudice, senza mea culpa, con l’ergastolo. Solo così potrebbe finire questo scempio di sangue. Per la forte disoccupazione femminile è in Sicilia il nucleo più imponente di sudditanza economica dall’uomo. Se al Sud, ma anche al nord si prestasse attenzione all’aiuto economico sulle donne, molte di esse prenderebbero coscienza della loro forza. Sarebbe il punto di partenza per non subire la subalternità maschile. In conclusione la salvezza potrebbero essere: le giuste leggi, pene severe, la potenza delle istituzioni ed infine, l’apporto psicologico e finanziario. Potrebbe essere questa la via per la fiducia totale in “praecepta legis” che, forse, non determinerebbe più vittime le donne e carnefici i loro uomini, malati di violenza. Sarebbe meraviglioso se l’uomo fosse un tutt’uno con la donna. Come sappiamo per culto, così come nasce dalla sua costola, da qui la nascita di un rapporto di parità e reciproco sostegno. Amare vuol dire accettarsi con pregi e difetti! Non più amori malati.